domenica 9 dicembre 2012

Sciroppo.

Questa sera sono malata, e mi sento sola. Oggi è stata una di quelle giornate in cui desidero morire, senza drammi o che. Semplicemente, voglio smettere di vivere. Ho da sempre grandi spinte alla morte, anche se con il tempo ho imparato a sdrammatizzare la cosa, tipo esasperando il tutto come se non fosse vero. In questo modo ho costruito un personaggio allo stesso tempo simpatico e macabro, ma la verità è che non sono né l'una né l'altra cosa. Semplicemente mi sento la morte addosso, come i negri la musica e Michael Jackson i bambini. 

È proprio così, da quando sono molto piccola. Certo la storia della mia famiglia ha facilitato il tutto, e anche l'atmosfera, respirata dai primi anni di vita. Il Natale, per esempio: vietato anche solo nominarlo, se non per dirne il peggio. In casa mia non è mai avvenuto uno scambio di regali. In questo modo non ho mai avuto ben chiaro il concetto di dono. Quando qualcuno mi regala qualcosa mi offendo, oppure mi intristisco molto, perché non ne colgo il motivo. E ovviamente non mi viene mai in mente di fare regali a nessuno. In questo modo le feste e i compleanni sono sempre giorni qualunque e questa è una delle cose che mi piacciono della mia vita. E che le mie fidanzate non hanno mai apprezzato.

Eppure non ho avuto una famiglia infelice. Forse un filo non convenzionale, ma con una parvenza di assoluta normalità. Che poi è il peggio del peggio. Quanto avrei desiderato quei genitori di sinistra che orbitavano attorno ad alcuni amici: belli, permissivi, aperti ad ogni diversità, tranne a quella di loro figlio. Non mi sono mai sentita figlia dei miei genitori e sorella di mio fratello. Mio fratello per farmi piangere mi diceva ehi, ti hanno adottata, noi non siamo la tua vera famiglia. Ma io non piangevo, anzi. Quando poi mia madre l'ha sentito e l'ha sgridato molto, io ho sofferto, perché ho capito che invece ero proprio figlia dei miei genitori e che non sarei mai partita per ritrovare quelli veri.

È questa totale mancanza di appartenenza a qualsiasi cosa, che mi destabilizza. Non passa mai, e con gli anni peggiora. Un tempo poteva dirsi una forma di ribellione adolescenziale. Poi l'alibi dell'età è scomparso, ma il problema no. Con il tempo però divento sempre più stanca e penso, devo sforzarmi un pochino, di appartenere a qualcosa. Ma a cosa? Vado al gruppo degli scacchi? Tristezza. Imparo per la trecentesima volta a suonare uno strumento qualsiasi? Depressione. Mi iscrivo al corso di mimo di quelli di Grock? Non mi piacciono le tutine attillate. Il cineforum? Il settantasette è passato da quasi trentasei anni. Gli aperitivi con i colleghi? Mi distruggono. 

E allora non mi resta altro che sopportare giornate come questa e tossire e bere a canna lo sciroppo, nella mia casa orgogliosamente priva di albero di Natale. Nella speranza che qualcuno possa capirmi, anche solo a distanza. Anzi, solo a distanza. Perché la tristezza degli altri è come la loro solitudine, va presa per com'è. Non va smorzata, non va placata. Va  guardata da lontano e le si deve fare ciao con la mano. Certo, qualcuno non capirà, ma chi capirà poi starà meglio.

La settimana prossima dovevo andare dal dentista per un controllo. Ma oggi ho saputo che qualche giorno fa è morto. È dunque così che va la vita.




6 commenti:

  1. che bravissima che sei. sei il mio termine di paragone per l'abilità narrativa, almeno su internet. ah, i piaceri della vita.

    malcorata.

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  2. Ti abbraccio e accumulo carte gioco del wwf per te.

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  3. Continuo a leggerti, anche quando magari non ho le parole "giuste" per "commentare", che poi "giuste" e "commentare" sono già così parole poco adeguate ma chissà, forse sto perdendo quella confidenza con l'espressione scritta che pensavo di avere.
    Insomma, continuo a leggerti, nella mia solitudine.

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  4. Ciao Marina.
    Continua così, perché la solitudine è il mood di tutto l'anno prossimo!

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