giovedì 29 dicembre 2011

Meno qualcosa.

Scrivo ora che non ne ho voglia.


Questo è l'ultimo post dell'anno. Domani è il trenta, e nei giorni pari non ho niente di interessante da dire. Poi sarà il trentuno e sarò troppo presa a non pensarci. Generalmente, a questo punto dell'anno, si fa un bilancio e si può anche scrivere male. La parola chiave comunque è amarezza, che è quello che provo ora, rinchiusa nella mia felpa converse che avevo quasi pianto per averla, in prima superiore. Trashissima, con dei fiorellini addirittura. Una cosa così ora non la trovi nemmeno allo Specchio di Alice (c'è ancora quel magazzino di sole galattiche?).


L'anno che sta per terminare si è aperto con una notizia bruttissima ed è continuato peggio. Ci sono state giornate molto fredde e poi è arrivata l'estate. Non mi hanno rubato la bicicletta, però mi si è rotta la catena per legarla. Poi ho cambiato lavoro. E ho conosciuto persone diverse da quelle alle quali mi ero abituata. Quelle a cui mi ero abituata mi sono mancate. E poi ho incontrato nuovi amici, uno in particolare, che saluto: ciao, vinceremo.


Ogni anno mi sembra che, da un lato, tutto peggiori, dall'altro ci si abitui non si sa come a resistere al peggio e allora ci vengono dei muscoli apposta e si sta aggrappati al burrone con una facilità che non si ha nemmeno più paura di cadere. Per dire, ci sono attimi in cui, a un passo dal baratro, penso che mi andrebbe moltissimo un oro saiwa, che alla fine non è un granché, è un biscotto secco. Ci si abitua al peggio perché dentro di sé si è consapevoli che tutto il bello debba ancora arrivare. Quasi sicuramente non arriverà, ma il nostro cervello è stato settato così e la resistenza non sembra mai energia sprecata, è solo un gradino di due metri e mezzo appena scavalcato e poi c'è tutta la scala, e magari qualche viaggio, qualche nuovo incontro, qualche ragazza, qualcosa che pensiamo di meritarci e che un giorno arriverà, fosse l'ultima cosa che deve arrivare. 


E poi non arriva, o forse sì. E il tempo si confonde, tanto che io non mi ricordo mai quando qualcosa è accaduto e quando no. E a volte se sia accaduto davvero oppure no. E ci sono dei momenti in cui penso è andata, non ce la faccio. E poi mi dimentico. Magari per aiutarmi prendo due goccine. Quest'anno così brutto non è stato tanto male, poteva andare peggio, poteva venirmi la bizza di mettermi a fare djset, per esempio. Poteva venirmi voglia di leggere la Mazzantini. E invece mi sono tenuta, forte come una roccia, non mi sono allontanata un attimo dalla mia esistenza tutta sbagliata, di rapporti spesso privi di senso e pieni di fame. 


Vorrei che il prossimo anno andasse meglio e vorrei che succedesse senza che io faccia granché. Vorrei che fosse normale. Vorrei non guardare le foto dei miei coetanei che si sposano chiedendomi: ma che cazzo fanno? Vorrei che tutto fosse lecito, vorrei che la mia testa smettesse di rifiutare quello che ha deciso di non capire, per presa di posizione. E poi vorrei iniziare a leggere i libri che mi consigliano, che è una cosa che non faccio mai. E vorrei che tutto fosse lì apposta per me e io lì apposta per tutto e vorrei guardare qualcuno senza la paura di smettere di guardarlo da un momento all'altro.


E poi vorrei che il tempo passasse veloce, per vedere. Ma questo non è un film di Muccino, per fortuna. 


Buon duemiladodici.

mercoledì 28 dicembre 2011

Oroscopo di Saffo.

Mi sembrava doveroso scriverne uno.

ARIETE
Care amiche dell'ariete. Con questo fatto che siete le prime dello zodiaco, è una vita che vi fanno credere di avere qualcosa di speciale. Pensate davvero di contare più di un acquario solo perché avete un attico invece di una cantina? Se Kurt Cobain avesse iniziato da un soppalco invece che da un garage sarebbe stato lo stesso? Non penso. Ecco, è così che dovete approcciarvi all'anno che verrà: state nel mezzo, non prendete posizioni, lasciatevi fare, lasciatevi farvi. Sarà un anno di colpi di fulmini e fratture, metaforici solo i primi, quindi attente ai campi da calcio. Il lavoro va bene, fisicamente siete incomparabili a qualunque altra bestia, il fascino non vi è mai mancato. Solo, siate un po' meno esigenti, soprattutto con voi stesse. Per il resto, a presto. 

TORO
Non ce n'è, voi siete così: statiche. Quando siete stanche, dormite. Quando siete riposate, cercate subito un aratro da attaccarvi al culo. Amiche del toro, quest'anno basta con le zavorre. Basta con l'aspettarvi qualcosa: l'amore della vita, il lavoro della vita, il cambiamento della vita, le emozioni per la vita e intanto la vita vi sfugge di mano e voi rimanete ferme fianco ai binari a guardare i Frecciarossa. Siete forti, siete belle, siete fedeli, siate anche un po' argute. E soprattutto smettetela di pensare che tutti siano come voi e che voi siate nel giusto. Se siete in cerca di una partner buttatevi su una capricorno: saprà donarvi passione, fedeltà, staticità. Due cuori e un faggio, come piace a voi. 

GEMELLI
L'anno nuovo inizia in sordina, ma da giugno non ce n'è più per nessuno. Il lavoro non sarà un granché e i soldi scarseggiano, anche perché passate la maggior parte del vostro tempo a sperperarli. Ma, ehi, avete l'amore! Fa brutto a dirsi, ma c'è un cancro nel vostro futuro. All'inizio non sarà facilissimo: dubbi, paranoie, ansie, insomma, il solito. Ma le sue chelette vi afferrerano, tutti e due. In ogni caso, pensate di meno, soprattutto a voi stessi. Riversatevi sul prossimo, chiunque sia. Andate a trovare vecchi all'ospizio, accompagnate gruppi di down al museo della scienza, ascoltate, ascoltate, ascoltate, ma non ascoltatevi. Non vi ha mai portato lontano. Avrete qualche scazzo in famiglia, quindi, già che ci siete, se ancora non avete fatto, andate di coming out come se non ci fosse un domani. La tragedia si consumerebbe comunque.

CANCRO
Sorelle del cancro! Che dire, fate un bel vedere. Eppure quest'anno ce li avete tutti contro: Urano, Saturno, Plutone, incazzati come bisce tentano di ostacolarvi in ogni modo, ma voi evitate ogni sfiga saltellando qua e là. Avete grinta, conoscete l'astuzia e Giove vi è fedele come mai fino ad oggi. Quest'anno poi viaggerete pure, e vedere cose nuove vi renderà meno chiuse, più felici, forse anche meno permalose. Partite, non pensateci. Godetevi agosto, perché pare che dall'autunno ci saranno cambiamenti improvvisi. Si parla di una nuova primavera, proprio quando inizierà a fare freddo. State con chi vi vuole bene e ricordatevi che c'è sempre un amico che vi aspetta, quando non sapete dove rifugiarvi. 

LEONE
Bè, siete un gran segno. Il 2011 è stato per molte di voi un anno di sfighe diagonali, cattiverie, malanni. Tutte cose che tra l'altro vi siete cercate. Basta fare le superdonne, compratevela quella canottiera che considerate tanto low profile. Copritevi la pancia, non lasciate che dai jeans vi si veda sempre il culo. Il lavoro quest'anno va alla grande, nel senso che c'è, almeno fino all'inizio del 2013. In amore non avete speranze: più che felini siete api e c'è sempre un fiore che vi piace più di un altro e girate e girate e impollinate e create problemi e vi create problemi. Datevi una calmata e soprattutto siate un po' meno superficiali. Restate basse: in fondo il leone non è altro che un grosso gatto. 

VERGINE
Quante battute, sul vostro segno. Avevo una compagna all'asilo che si chiamava Erica Rota. Ricordo che un giorno, come tanti compagnucci, la presi in giro, ma lei, a differenza di come fece con gli altri, mi picchiò senza vergogna. Ecco, quest'anno siete aggressive, quest'anno fate male. Dovete lasciarvi andare. Dovete smetterla di rimettere tutto in ordine dopo che sporcate. Dovete finirla di volere tutto sotto controllo. Siete un segno sfigato, basta, è andata così, non potete farci nulla. Godetevi l'esistenza, avete un futuro roseo davanti a voi. Innanzitutto il lavoro va alla grande. Molte di voi si laureeranno con il loro centodiecielode. Le donne, ce le avrete al guinzaglio come sempre. Insomma, vergini, va tutto bene. Però basta rompere il cazzo, e datela un po' di più.

BILANCIA
Ma quale equilibrio, non ci avete mai creduto un attimo nemmeno voi: è paura non equilibrio. Avete passato un anno in letargo, mica vorrete replicare. Quest'anno si cambia. Quest'anno si cambia tutto: taglio di capelli, macchina, ragazza, lavoro. Quest'anno si fa un bel viaggio, quest'anno si manda a fare in culo qualcuno. Sarà un 2012 di enormi trasformazioni, foss'anche passare dalla 44 alla 42. Nuovi colleghi, nuovi obiettivi, nuovi odori, tutto. Nuovo. Punto. Iniziate da ora, spegnete Real Time, vivetevi la vostra di esistenza. Non state a pensare che quelle delle altre siano vite migliori. La vita è dannazione a prescindere, prima o poi lo capirete. Se vi invitano a Torre del Lago, non andateci.

SCORPIONE
Lo sanno tutti quanto siete stronze. Sono cinquemila anni che tentano di dire qualcosa di buono sul vostro conto, ma per quanto si sforzino, è impossibile. Siete ambiziose, siete belle, avete successo: quindi, siete detestabili. State in terra ma non strisciate, siete veloci e avete la corazza, volete arrivare sempre più avanti. Il fatto però è che con una scarpata siete finite. Quindi piano con l'ego. Sarà un anno di inquietudine, soprattutto, pappapero! Un anno un po' tormentato, almeno fino ad ottobre, quindi mettetevi comode. Poche novità, poche soddisfazioni, ma la forza non vi manca. Sapete difendervi e questo è importante. Poi per il resto volevo solo sparare un po' sulla crocerossa.

SAGITTARIO
State con l'arco teso dall'anno scorso, ancora non avete lanciato nessuna freccia. Sono mesi che prendete la mira. Ogni tanto vi ci addormentate anche, in quella posizione. Che palle sagittario, e fallo sto lancio. Quest'anno poi vi va anche bene. Incontrerete un sacco di persone nuove, innanzitutto. Non disdegnate l'ariete che inizierà a starvi dietro dalla notte di capodanno, fatevi accarezzare, non vuole distrarvi dalla vostra disciplina sportiva. Vuole solo essere il vostro bersaglio. Il lavoro va bene, se avete intenzioni di buttarvi in un'attività vostra fatelo: tanto i tempi sono una merda, non sarebbe questo oroscopo a portarvi fuori strada. Badate più alla vostra forma fisica, perché nel 2011 il culo vi è lievitato. Galoppate sagittari, avete un sacco di vita e d'amore davanti a voi. Buon anno!


CAPRICORNO
Siete nate con le corna, cosa potete temere? Questo sarà per voi un anno imprevedibile. Sì, imprevedibilità, quella cosa che vi fa tanto incazzare. Avete i piedi puntati a terra, che dico, cementati. Ma quest'anno non funziona, quest'anno vi trascina via. Siate meno controllate, concedetevela una sbronza su Maracaibo, non dovete niente a nessuno. Sboccate addosso alla vostra nuova conquista, non abbiate paura che vi si abbandoni per così poco. Amate e siate amate. E leggete di più, informatevi, acculturatevi. Basta con le mostre a Palazzo Reale, cercate altro, cercate il bello, cercatelo fuori dalle vostre convinzioni. Sarete più aperte (sì.), più sensibili, più creative. Non scambiate un'occasione per un ostacolo. Andate in pace.


ACQUARIO
Chiunque abbia a che fare con un acquario sa bene quanto la loro frequentazione possa rivelarsi deleteria. Siete distratte, aeree, di quell'indipendenza che regala al prossimo solo frustrazione. Il mondo vi scivola addosso e voi ve la ridete e poi quando vi butta male, cambiate operatore telefonico. Siete un bel segno, perché sapete amare, sebbene a modo vostro. E sapete far male, sempre a modo vostro. L'ideale sarebbe che rimaneste tra di voi, ma non è possibile. Siete attraenti, siete misteriose, siete folletti, ma scopate come scrofe, è risaputo. Sarà un anno gratificante, soprattutto per le nate in gennaio. L'unico scazzo saranno i soldi, molte le spese, per cose troppo poco soddisfacenti. In due parole, lavatevi sempre bene i denti.


PESCI
Piccole, ultime amiche dello zodiaco! Ma chi siete, voi? Fuori dall'acqua, soffocate, dentro l'acqua soffocano gli altri. È una vita d'inferno. Ma quest'anno sarà diverso. Il 2011 vi ha viste insoddisfatte e un poco spente. Vi eravate lasciate andare, le pinne si sono scolorite, l'occhio un po' così: non vi pescava più nessuno. Lasciatevi alle spalle quel senso di incompiutezza degli ultimi mesi: paure inconfessate, sogni inespressi, e soprattutto quel confuso desiderio di metamorfosi che sembrava condannato a trovare veri sbocchi (brutalmente copiato da Astra). Questo è un nuovo anno e ci sono un sacco di mari e passaporti e infradito, anche se non avete i piedi. Siate felici, forse ve lo meritate.


lunedì 26 dicembre 2011

Incontri.

Avete presente quando ripensate a delle cose e poi non vi ricordate se sono successe per davvero o se le avete sempre solo immaginate? Io mi spavento, quando mi capita. Mi accade soprattutto quando ripenso ad alcune persone incontrate per poco e poi mai più. Verso i diciotto vent'anni m'era presa questa foga di conoscere lesbiche on line, era diventato una specie di lavoro (a suo modo, retribuito, perché offrivano sempre loro). Così non ci andavo nemmeno all'università, certi giorni. Andavo a incontrare femmine. Ne ho incontrate centinaia. 


Questa mattina, in dormiveglia, mi sono rivista fuori da una golf blu elettrico, bella aggressiva. E poi da quell'automobile è scesa una tizia bionda con il gel e mi ha messo un braccio attorno al collo e io ho capito che quello mi è successo davvero. Chissà come si chiamava, chissà chi era, cosa faceva. Io a parte la golf e quei capelli di merda, non so che dire. Bè, sì, ricordo anche un certo disgusto. Ma il dramma degli incontri al buio non è il ribrezzo, almeno. È la delusione. È l'assenza della sorpresa. È aspettarsi una racchia e ritrovarsi anche la sua amica. È la menzogna.


Penso sia ora di parlarne e vorrei farlo in una sola volta. Sceglierò cinque incontri, solo cinque, ma significativi, portatori di emozioni così grandi da meritarsi il grassetto. Sotto il mio balcone un cane sta ululando. L'atmosfera è quella giusta. Mettetevi comode, mettetevi comodi, mettetevi *.


La paura.
Si chiamava R., e ci siamo incontrate fuori da una biblioteca. Faceva la ricercatrice in storia. Aveva sui trentasei, trentasette anni. Mi aveva avvisata di essere un po' sopra le righe. Ci incontriamo una mattina di luglio che alle nove fanno già trentadue gradi. Io sudo pochissimo, ma il cuore mi sanguina continuamente. Mi siedo in terra, all'ombra, ho la pressione a due. Poi entro, ma non mi va di vedere la gente che studia, perché mi sento in colpa. Prendo un caffè della macchinetta, uguale a tutti i caffè di tutte le macchinette di tutte le biblioteche. Sa di ansia. Poi lei arriva. Ha dei pantaloni che le arrivano sotto il ginocchio, e una coda da cavallo, ma la coda è l'unica cosa che ha del cavallo. Gli occhi sono molto sporgenti e di un blu interessante. Il problema però è che nell'insieme assomiglia a lui. Sì, Angelo Izzo e anche le sue intenzioni sembrano essere le stesse. Si avvicina subito e mi tocca molto, soprattutto la spalla destra. Io temo un secondo Circeo che però questa volta sarebbe un più patinato Tibaldi, e allora mi sottraggo. Poi lei cerca una fontanella e beve. Sembra una bambina all'oratorio, non mi farà del male. Andiamo a pranzo. Mentre mangia una quantità di cibo che non credevo possibile, mi dice che zoppica perché ha rotto una rotula tirando un calcio a uno, una volta che si pogava. Eh, sono un po' una punkabbestia io. Poi mi guarda intensamente e mi dice, oh, ma te sei la figlia di Giorello? E io, che manco sapevo chi fosse, le dico, no. Mangio dell'insalata che vorrei fosse cicuta. Chiama un cane che passa di lì e inizia ad accarezzarlo. Poi mi prende la mano e mi parla della ricerca. Poi mi lascia la mano. Poi mi riprende la mano e mi chiede se andiamo a casa sua. Io le rispondo che devo andare in un posto a prendere una cosa importantissima. Che non posso tardare. Sta arrivando il temporale. Lei mi dice, vieni da me, sta arrivando il temporale. Io le dico che se non passo in quel posto poi è un casino, davvero. Lei insiste. Mi dice entra in macchina. Io non entro. Lei sale in macchina e se ne va. Prima però saluta. Io corro verso la metro e scompaio. Mi chiama tutto il pomeriggio, instancabilmente. E tutto il giorno dopo e quello dopo. Per instancabilmente intendo di fila. Continuamente. Tranne in alcune ore in cui dorme penso. Poi sparisce per sempre. 


L'amarezza.
Dice che ci incontriamo in centro quando esce dal lavoro. Mi aveva anche detto di avere il frigorifero sul balcone, ma io non dò molto peso a ciò che non rientra perfettamente nelle logiche domestiche. Be, E. era molto interessante. Preparatissima, davvero. Politica a rosari, questione mediorientale col metronomo, gusti letterari pazzeschi, voci bellissima. Trentacinque anni, mica male. Sono un poco maschia mi dice. Sì, gioia, chiaro che a certe condizioni non si può ambire a chissà che esteticamente. Sono molto positiva. Mi presento con una giacca molto bella e per l'occasione faccio una doccia (ai tempi non mi lavavo quasi mai). Mi manda un messaggio e mi dice, sono quella con il Manifesto. E io mi sento sempre meglio. Mi siedo e aspetto. Poi capisco che l'unica con il Manifesto (che ha capito benissimo che io sono io, quella con la faccia da pirla) ha non meno di quarantotto anni. A questo punto la questione maschia non maschia è irrilevante. Andiamo a bere una cosa. A me girano i coglioni perché mi aspettavo Naomi Klein e ho di fronte la Sgrena. In più è aggressiva. Dice subito, non ti piaccio perché sono vecchia eh? E mi torchia, come se fosse colpa mia. Dico che vado in bagno ed esco dalla finestra del bagno e da una porta del cortile che conoscevo bene come casa mia. Non mi cerca mai più.


Il multiculturalismo.
Incontro C. a marzo dello scorso anno. Un momento durissimo della mia esistenza. Tanto lavoro, nessuna soddisfazione, molto sonno arretrato, un sacco di preoccupazioni e sciopero dei mezzi. Mi dà l'indirizzo di casa sua. So solo che è sudamericana. La foto l'ho vista. In effetti è sudamericana. La verità è che l'ho anche già incontrata. E sì, è sudamericana. Insomma, non è Nè brutta né bella, è una signora sudamericana di quelle che dovrebbero avere qualche bambino ecco. Lavoro interessante, cervello interessante, studi interessanti. Arrivo a casa sua che sono le ventitrè. Sono uscita a bere una cosa con i miei colleghi e sono sbronza, perché mi basta veramente pochissimo. Arrivo e sono sbronza. Mi siedo sul divano e sono sbronza. È una casa strana, penso, ma sono sbronza. C'è un frigorifero in una camera da letto. Mi dice che ci sono le medicine della sua coinquilina. Poi ci sono tantissimi aghi ovunque. Sono della coinquilina. Le chiedo dov'è la coinquilina? Non c'è mi risponde, e io mi sento come la bestia saltata all'ultimo sull'arca di Noè. So di piacerle perchè in verità è il nostro secondo incontro, ma io non voglio niente da lei, solo non voglio stare da sola quella sera che inizia la primavera e io sono infinitamente infelice e sbronza. Così ci prova. E io mi scosto. E ci prova. E mi scosto. Allora capisco che c'è poco da fare, che scostarsi è inutile. Allora vado in bagno e mi guardo in faccia, allo specchio e dico devi farti coraggio, il mondo è molto peggio di questa scopata. E così accade. Mi sento finalmente una donna adulta la mattina, quando scappo senza salutare e aspetto il tram. Il più banale dei raggi di sole mi rimbalza sul naso e io rido da sola molto, quasi fino a sera. Poi sparisco nel nulla come al solito.


L'inconsistenza.
Quando incontro L., non la vedo. Lei mi fa ciao con la mano e allora la vedo. È piccolissima. Non è nana, però è minuscola. Non avevo mai incontrato una donna così sottile. Ha questi occhi enormi, azzurri e tutto il resto sono ossa e bassezza e ha una faccia che la tisi le sta lasciando giusto il tempo per stringermi la mano e farmi dire: bella, lasciami, devo tornare al giuoco delle carte. Comunque ti amo. Beviamo una cosa. Mi parla del calcio, dice che gioca a calcio. E io le chiedo in quale ruolo e lei mi dice in difesa. E io non capisco, mi ronza la testa e non mi sento bene per niente. È un pomeriggio che non sto bene e lei è troppo piccola per essere al mio tavolo o io troppo grossa per stare al suo e mi pare di stare in uno di quei film tipo mi si sono ristretti i ragazzi. Ha la pelle trasparente, sembra un fantasmino. Quando ci salutiamo dice che è stata bene e mi chiede se ci incontriamo ancora. Io le dico di sì, ma certo, perchè no? E poi sparisco per sempre.


L'attesa.
La aspetto un sacco di tempo. Fuori dal planetario, a Palestro. Poi arriva. Porta gli occhiali  e non è giovane. Il culo però le sta su e nel complesso è una bella donna. Ha un cane che vuole subito fare amicizia. Ci sediamo e parliamo tanto. Mi batte il sole addosso e anche a lei. Lei si spoglia, rimane in canottiera. Poi sparisce. Rimane via poco, torna. Io nel mentre leggo il libro per l'esame di filosofia del linguaggio. Non capisco nemmeno una parola. È un incontro pacifico e irrilevante. Poi stiamo insieme pochi mesi. Poi un giorno dal niente mi lascia e io soffro per quattro interminabili anni. Poi per un po' non ho più voluto sentire parlare di stelle e di cani. Poi mi è passata, si chiama S.


Spero di avervi moderatamente allietate, allietati, allietat*.

sabato 24 dicembre 2011

Rabbia, indifferenza, coming out. Non necessariamente in quest'ordine.

Non scrivo da tanto, è stato un dicembre movimentato. Ora è mattino presto, ed è la vigilia di natale: due condizioni che mi lasciano completamente indifferente. Prima, per scrivere, avevo bisogno di vedere cose, che ne so, le vecchie in metro, i barboni con le pustole, cose così, da bohemien appena uscito dal catechismo. E forse era davvero la curiosità, a muovermi, ed ero molto curiosa, per questo scrivevo tanto. Ora invece è la rabbia a farmi scrivere, e ci vado piano, perché il malox dopo un po' dà noia e il lexotan sa di bubblegum e ci sono momenti della giornata in cui proprio fatica a scendere. 


È una rabbia dettata dall'indifferenza, che dopo due montenegro torna indifferenza. E poi rabbia. Quando si scrive da arrabbiati è molto diverso, da quando si scrive da curiosi. Generalmente gli scritti dei curiosi sono pieni di colore e poi c'è sempre un lieto fine, e quando non è lieto si capisce che avrebbe voluto esserlo, ma sembrava di esagerare. Gli scritti da arrabbiati invece non lasciano scampo, che siano qui o su un muro. Tutti hanno il dovere di scrivere da arrabbiati, tutti dovrebbero demolire qualcosa. La rabbia è un bel sentimento, è come l'amore ma dà meno problemi. 


E ora scusate, ma penso sia arrivato il momento di affrontare la questione Tiziano Ferro. A dicembre si è visto ovunque, si è sentito ovunque, e io una notte l'ho pure sognato. Come qualcuna di voi saprà (sì, sì, anche voi radical chic del teatro del popolo), Tiziano Ferro ha festeggiato un anno da frocio decorato. Un anno bellissimo, pieno d'amore eccetera. Chiaramente tutto questo ha portato a un nuovo cd eccetera. Fan non ne ha persi, ragazzine lo seguono ancora, piace alle mamme, va a C'è posta per te, e altro. In un paese come il nostro, in cui la bruttezza è all'ordine del giorno, una situazione come questa appare irrilevante. Ovvero, Tiziano Ferro è un cantante del cazzo, che fa musica bassa e bazzica negli studi Mediaset e ora mangia la pasta che ti si fredda. Va tutto bene, è la solita vita. Qualche battutina su Spinoza, che tra un po' non farà più ridere nessuno, eccetera. Io invece trovo che questa storia di Tiziano Ferro sia portentosa, e per un attimo mi leva la pelliccia d'indifferenza e mi fa respirare. Ma che cazzo ha fatto Tiziano Ferro per non meritarsi il disprezzo di chi lo segue? Voglio dire, il fan medio ha passato la terza media solo perché ha promesso che il mese dopo avrebbe iniziato a fare il gommista. Tiziano Ferro avrebbe dovuto essere umiliato, lasciato solo, e avrebbero dovuto lasciare insulti molto peggiori sotto i suoi video o scatenare avvincenti discussioni a pomeriggio cinque. Invece sto fatto è andato giù a tutti. Se penso che mia madre dopo dieci anni ancora non se ne capacita. Io, che quando non so che fare inizio a salmodiare frammenti di Callimaco. Certo che a me la vita non ha dato proprio niente.


Ecco, dicevo, i fan l'hanno accettato, e il suo cd di merda stravende come al solito. Ho sentito parlare molto di lui anche tra la gente bene, quella che alterna Proust a Hornby intuendo solo qualche piccola differenza. Secondo queste persone che Tiziano Ferro sia gay o meno sono solo affari suoi, l'importante è che non ne scrivano su Repubblica. Già, lasciamo che Repubblica ci allieti solo quando la volpe della Tundra ha trombato con il lemming, allora. L'importante è che non monopolizzi l'informazione, che cazzo. Io invece penso che Tizianella abbia tutto il diritto di monopolizzare e farsi monopolizzare, perchè ha fatto una gran cosa, quel frocetto: è stato onesto. Che l'abbia fatto per vendere, o smettere di vendere, per esigenza, o per gossip, è irrilevante. Il frocio ha cantato davvero stavolta. 


E allora penso a tutti quelli e quelle che ancora non hanno cantato. Parliamo di Renato Zero? Due mesi fa su Leggo (scusate, ma il Manifesto non lo leggo in metropolitana, mi piace sfogliarlo nella mia garsoniere) Renato Zero affermava: non sono gay, ho sempre amato le donne. Sì, sui poster. E vai a vedere quanti gay ci sono ai suoi concerti. Ma la Nannini è peggio. Ogni tanto palesa bisessualità, la Nannini mi fa proprio schifo. Sono stata solo ad un suo concerto, erano tutte lesbiche. Ma non per dire. Erano davvero tutte lesbiche. L'anno scorso ci sforna una creatura senza padre. Ma con quali soldi ti sei pagata il primo camion? E tutti gli altri? Come si fa a smentire la propria omosessualità quando ci si campa? Fa schifo. Non andateci più ai concerti della Nannini, buttatelo via l'anello al pollice. E la Tamaro? Una delle autrici più mediocri della storia della letteratura mondiale che qualche anno fa spara qualcosa tipo, ho un'amicizia d'amore con una donna. Un'amicizia d'amore?? Ma cos'è? Te la scopi? Gliela lecchi? Vi tenete per mano? Cristo, io ho bisogno di sapere di chi mi posso fidare. Poi non ti leggo uguale, ma dimmelo, magari ti regalo. 


Ma che problemi hanno i gay a dire di essere gay? È la domanda più vecchia di sempre. Io stessa non lo sbandiero ovunque e questo blog è anonimo. Ma almeno non ci guadagno un cazzo. Ma io che problemi ho a dire di essere lesbica qualche volta? È molto importante, penso che ci si debba lavorare. Bè, io mi rispondo, sono affari miei. Invece no, non sono affari miei. Sono anche affari di tutti quelli come me, di quelli che non si nascondono, per esempio. Penso che nelle nostre esistenze, di nostro, ci siano solo un paio di cose e non c'entrino con l'orientamento sessuale. Ho rubato Mike Bongiorno? Ok, è un segreto. Sevizio i gatti? Eh, lo tengo segreto. Mi tira se spio i bambini giocare all'oratorio? E me lo tengo segreto cazzo. Ma se faccio pompini o arrivo addirittura ad amare qualcuno non me lo tengo segreto. Non è più tempo di segretezza, l'anno prossimo è l'ultimo.


E poi, meravigliosa creatura. Creatura? Ma che cazzo significa? Gianna, vai in culo va.

mercoledì 14 dicembre 2011

sabato 3 dicembre 2011

It's time.


Da giorni gira un po' ovunque, sul web: nei siti gay, in quelli di advertising, su Facebook. L'hanno condiviso anche persone che conosco dalle quali non solo non ho mai sentito dire una parola sui matrimoni gay, ma proprio nemmeno sui gay.
In Australia è passato in televisione, da noi non l'avrebbero mai mandato: questa è stata l'osservazione più arguta a riguardo.
Me ne fotto se non passerà mai nelle nostre televisioni. Anzi, dico che è un bene. Di brutto ne abbiamo a sufficienza. Mi sento spenta e con poche parole che sono parole generiche, ma vorrei provare a spiegare quello che ho sentito dopo aver visto il capolavoro qua sopra.


Ho sentito che questi colori non esistono, nemmeno in Australia. Pare di stare in quelle commedie tipo Me you and everyone we know o American Life. Quelle con la locandina illustrata. Quelle furbe. Ho sentito che non dice niente di noi. Almeno, di me. E non perché si vedano due gay invece che due lesbiche. Conoscersi su un traghetto, il compleanno a cappellini a pois, la spiaggia idilliaca, allungare la mano per raggiungere il suo braccio, i sorrisi a denti bianchissimi, gli amici sempre pronti a starti vicino. La mamma che crepa e piangere in bagno. La mano sulla spalla mentre la mamma crepa.


Non funziona così. La vita di un omosessuale è mediamente costellata di solitudine. Ci si scopre omosessuali quando si riesce a codificare la propria estraneità rispetto al resto del mondo. Non ci sono state pacche sulla spalla per me, ne trombette per i miei venticinque anni. Non ci sono state donne che mi hanno passato un bigliettino da mettere nel mio libro del momento, in mezzo al mare.


Ci sono stati incontri con sconosciute e scopate senza criterio. C'è stata la paura di non sapersi definire, di non essere amati, di non saper amare. La sensazione di non meritarsi niente, nemmeno il più triste dei barbecue. Ci sono state le notti insonni e lo stordimento e braccia sempre diverse e nessuna accogliente, nemmeno tra simili. Per me c'è stato soprattutto abbandono. Non me ne frega un cazzo di inginocchiarmi davanti a una e metterle un anello al dito. Un anello al dito è per chi può permetterselo. È per chi si è identificata nelle principesse disney, non nel granchietto Sebastian. 


Non è questo che vogliamo. Vogliamo che ci vengano riconosciuti dei diritti che ci spettano in quanto cittadini di un paese in cui le persone eterosessuali hanno leggi diverse dalle nostre. Perché noi non ne abbiamo. Vogliamo poter tentare di costruire qualcosa come chiunque, anche se per noi è sempre stato più difficile. Mettere un anello al dito non dice niente, non parla di nulla, non mostra il minimo problema. Questo è uno spot gay per eterosessuali, ed è giusto che sia così. Visto che il target che vuole colpire è quello che in teoria non capisce bene perchè noi che ci succhiamo cazzi a vicenda o usiamo delle semplici dita desideriamo essere riconosciuti legalmente come coppie. Ma mostrare qualcosa che non è, ci rende dei teddy bear del cazzo, dei bonsai, delle cose così.


Invece siamo sangue e unghie e sperma e cessi pubblici e scheccate e tatuaggi sui bicipiti e serate radical chic e serate poco chic e serate e basta e vibratori e lavande anali e vaselina e squadre di calcio e concerti di carmen consoli e festival internazionali e arte lesbica e scarpe basse e scarpe alte e libri a tema e film a tema e cazzate a tema e locali tristi e locali allegri e nessun locale e compagnie e solitudine e non sapere cosa significhi davvero essere riconosciuti e gay pride sempre uguali. 


Noi siamo un sacco di cose belle e un sacco di cose brutte. Ma non siamo questa merda. Australiano, la fede devi ficcartela nel culo.

venerdì 25 novembre 2011

Tomboy Vs Gameboy.

E così ho visto Tomboy. Non posso dire molto riguardo questo film. Come non posso dire molto riguardo ai film in generale. Mi è sembrato carino, leggero ma non semplicistico, mai banale, ma comunque non necessario. In ogni caso ottantaquattro minuti di non sofferenza, o quantomeno di disagio sopportabile. Cioè bene.

In sala non si era in troppi e non molte erano le lesbiche. Ho ruminato qualche patatina per il gusto di dar fastidio. Perché di mercoledì al cinema generalmente si ritrovano quelle persone che deprecano chi mangia in poltrona e così via. Nota surreale del tutto: nella fila davanti alla mia c'erano sei preti, uno dei quali sorseggiava una Sprite. Questa davvero non l'ho capita, è una di quelle cose per cui le persone si stupiscono, come se un sacerdote poi non potesse andare al cinema. Io dico, un sacerdote può, ma sei.

Finito il film si fumava una sigaretta annichiliti dall'umidità, quando una carissima amica etnografa ci ha fatto notare come tutti quei bambini fossero completamente innaturali nei loro giochi di bambini. E il bosco bucolico, e il lago bucolico, e il campetto da calcio bucolico, e soprattutto la bucolica bandierina, quell'attività medievale di chiamare un numero e correre verso un tovagliolo e tentare di portarselo a casa senza essere presi. Io ricordo con orrore la variante bandierina americana. Non la spiego perché ancora mi viene la pelle d'oca.

Bè sì, i bambini di Tomboy sembravano usciti da una pubblicità della Coop. Ho apprezzato l'intenzione della regista di mostrare l'infanzia così incontaminata e pura e ludica e di quella cattiveria prevedibili dei cinque anni in su. Ma il duemilaundici sta per finire. E tutto questo non esiste. E di sicuro non esiste in Francia. Tanta concitazione per vedere alcuni propri simili e una squinzia a caso, una manciata di giorni prima dell'inizio della scuola. E grandi tuffi in acqua e lotte demodé.

Io, che sono nata e cresciuta in provincia, posso dire che ci si trovava la sera, ma anche il pomeriggio, sotto l'albero con le radici grandi del parchetto che ora è un parcheggio e poi sì, ok, si giocava e si bazzicava tutti, finché non si veniva ripescati. Ma non c'era tanta partecipazione, eppure era il millenovecentonovanta. Rubabandiera estemporanei però mai visti. Quello rientrava nei giochi sadici a cui ci obbligavano nelle ore di ginnastica, detta anche educazione motoria, o trauma per sempre.

No dico, io me lo ricordo bene. Con l'arrivo del Sega Master system 2 la popolazione di giocatori pomeridiani si era ridotta di un buon quaranta per cento. Non c'era campanello che tenesse, importava solo Sonic. Col Sega Megadrive poi, la situazione è peggiorata, fino a diventare drammatica con l'avvento della prima Playstation, ma lì leggevo già svogliatamente Jacques Le Goff in un inutile saggio sull'usura nel basso Medioevo. 

Tutto questo in Tomboy non compare. Compare una bambina che si sente bambino, con una sorellina che si sente Shirley Temple e un fratellino che ancora deve arrivare, e che quando arriva ha la stessa pettinatura di Paolo Limiti. Dov'è La Wii in Tomboy? Perché cazzo nessuno palesa la necessità di mollare i sette minchioni nel bosco e correre a casa a guardare i siti proibiti del papà? Perché tanta tenerezza e colori pastello? Non c'è risposta. O forse sì. Il punto è che non la conosco.

Inoltre gli spaghetti con il pongo non si fabbricano più dalla seconda serie di Merlose Place. 

martedì 22 novembre 2011

Al lavoro!

Sono stata fagocitata dal lavoro. Letteralmente. Il lavoro mi ha divorato mentre mangiavo piadine seriali al pc. Una metamangiata del cazzo, da cui non sono ancora uscita. In questo momento è mezzanotte e sto di nuovo al pc, ma non sto mangiando e sono a casa mia. Il che mi fa ben sperare. 


Avevo molte cose da dire i giorni scorsi. Ma poi le ho scordate tutte. Il lavoro è così. Io sto male da quando sono nata, ma il lavoro ha peggiorato tutto. In un certo senso però ha portato anche qualcosa di buono: posso dire di essere stata meglio di ora, e sono consolazioni. Sapete che i fiori di Bach io li bevo a canna? E se potessi li stapperei con l'accendino. Una cosa che non ho mai imparato, ma che, a quanto pare, per una lesbica è imprescindibile.


Dicevo. Il lavoro è una merda. Non sono la prima a dirlo, nemmeno a dirlo male. Il lavoro non è una merda perché, che ne so, è precario? Sottopagato? Che ne so, noioso? No. Io penso che il lavoro sia una merda semplicemente perché è brutto. Se ti va male vuoi ucciderti, bene che ti vada ne diventi schiavo. Non so se mi fa più pena uno straziato dal lavoro o uno che ne sia ossessionato. A me fanno pena quelli che ci credono. 


Io ammiro molto chi non lavora. Cioè chi può permetterselo. Non è che li invidio, li ammiro ecco. L'invidia, quella è di default. Penso che non ci sia nulla di male nel non farsi sottrarre metà delle proprie giornate, nel non farsi umiliare, nel non compiacersi nel vedersi accreditato lo stipendio alla fine del mese. Perché un po' viene da essere felici, quando si vedono i soldi sul conto. Ma poi felici di che: l'alternativa sarebbe lavorare gratis e allora lì sì che saresti stronzo vero.


Il lavoro succhia l'anima anche a tutto quello che rimane fuori dall'ufficio. Lontano dalla propria scrivania, del proprio portapenne, dal cassetto pieno di cose per niente nostre, c'è bulimia. Si legge bulimici, si nuota bulimici, si gioca bulimici, si scopa bulimici, si guarda un film bulimici, teatro bulimico, concerti bulimici e ci sei stata alla Biennale? No, non ci sono stata. Sarebbe stata bulimica anche quella. Week end bulimici, brutti anche se li chiami fine settimana.


I ponti. Lì la bulimia si fa arte, expedia impazza e i treni sono pieni e mi piacerebbe tanto tornare in Umbria uno va sempre fuori dall'Italia e poi si dimentica di quante bellezze e tutto quanto. Quando hai un po' di tempo libero ti viene da raccontare quello che ti hanno sempre insegnato a non dire, al liceo classico, quando impari alcune parole come avulso, apotropaico, errabondo, idiosincratico, atarassia.


Diventiamo come bambini, davanti al tempo libero. Ci slegano (sleghiamo, nel caso dei liberi professionisti) il guinzaglio e ci dicono: via nell'area cani! Avete quarantotto ore per annusare culi, potete farvene al massimo due, grazie e a lunedì. La domenica sera non aspettiamo nemmeno che ci fischino, tanto il collare si allaccia facile, mica sono quelle catenacce da Melampo. A proposito, di Melampo era rimasta solo la catena. Ecco uno che ce l'ha fatta.


Tanto di burattini pronti ad abbaiare per un po' di pane e Radiohead live è pieno Infojobs.







martedì 15 novembre 2011

Al mio compleanno voglio un quartetto d'archi.

È una vita che tento di appartenere a qualche gruppo senza riuscirci. Il primo giorno di università una certa Marie Claire mi fermò nel corridoio chiedendomi se volessi far parte di questa realtà incredibile di giovani impegnati, qualcosa di assolutamente innovativo e noi ci incontriamo a Molino Dorino il sabato mattina. Erano i marxisti leninisti. Innovativi quanto il 1917. Ricordo di averle lasciato il mio numero di telefono. Mi ha chiamato ogni settimana, instancabilmente, per anni. Ho apprezzato molto la sua fedeltà. Nessuna donna si è mai più presa tanto cura di me. Per questo voglio salutarla, ciao Marie Claire, il mio numero ce l'hai.

Da quando ho questo blog ricevo un sacco di inviti su facebook. A serate di ogni genere. Che  declino chiaramente, per una serie di motivi. Il primo la pigrizia, il secondo la sociopatia. Ho scoperto che tra le lesbiche è un'usanza comune dichiararsi sociopatiche. Sono quasi sempre quelle stesse che poi sorseggiano vodka lemon come non ci fosse un domani e passeggiano con disinvoltura in ogni dove. Ragazze, la sociopatia esiste, datemi retta. Ed è un'altra cosa.

Ho notato che in tutti questi inviti a serate a cui non andrò mai, c'è sempre un dj set. E guardandomi un po' intorno ho capito che il dj set è un po' come la sociopatia: va. Così mi sono interrogata su questa attività e ho capito che un mixer è tante cose, ma più di tutte è una specie di carta moschicida. E che sì, insomma, vanno i dj set perché vanno le dj. Allora mi sono guardata un po' intorno. Alla terza cassetta tatuata sull'avambraccio ho deciso di riprendere Proust.

La donna che mette la musica è come il miele per l'orso, la bamba per Maradona, il cappellino per Misseri. È qualcosa di irrinunciabile. E la donna a cui piace la musica lo sa, e già che c'è la mette. E fa bene. È fondamentale capire per tempo cosa fare al momento giusto, solo, piano con le ancore sui polsi, a meno che non siate, che ne so, grandi estimatrici di Verne. Allora assumono un significato commovente. Dj Jules, mai più senza.

Quello che voglio dire è che ho sentito parlare di decine di lesbiche dj e ho iniziato a preoccuparmi. Avete presente quando si facevano quei discorsi strampalati sui licei, quando qualcuno affermava che mica tutti possono fare l'università se no poi chi lo fa il macellaio? E chi lo fa il panettiere? E chi lo fa il beccamorto? Ci sono un sacco di ruoli scoperti, nella nostra comunità. Per esempio, se io volessi acquistare un centrino per la mia dimora, e lo volessi assolutamente prodotto da una lesbica, a chi dovrei rivolgermi? 

E se avessi bisogno di comprare marmellate bollite esclusivamente da lesbiche? E se volessi  che le piastrelle del mio bagno fossero incollate da lesbiche? E se volessi una dog sitter lesbica? E se desiderassi che il tizio della dhl fosse una gran bella tizia? E se avessi l'esigenza di un riavvicinamento alla religione cattolica e necessitassi di una suora omosessuale? Non so, mi preoccupo. Non posso pensare che, bene che mi vada, una donna possa regalarmi un dj set.

Ma soprattutto, avete notato che il moscow mule non lo fa bene quasi nessuno? 

sabato 12 novembre 2011

Lost and furious.

Il 2001 per me è stato un anno piuttosto significativo. Saltellavo da giovane lesbica di sinistra tra il cadavere di Carlo Giuliani, il grosso buco del World Trade Center, l'Afghanistan e le riforme Moratti, con una spensieratezza che non ho mai più incontrato, senza capirci assolutamente un cazzo. È stato in quello stesso anno che ho conosciuto le mie prime donne inutili: stelle pioniere di un universo perennemente in fieri. 


Ed è stato nel 2001 che ho capito che per essere lesbica, non bastava essere lesbica. Ma occorreva quantomeno dedicarsi alla visione di qualche film che allora andava, e sfogliare la Winterson senza mai dimenticare che Sarah Kane è stata grande e Il pozzo della solitudine è un romanzo imprescindibile. A diciassette anni si è molto lontani dalla minima idea di verità.


Così era uscito questo film di cui si sbrodolava in ogni sito, questo L'altra metà dell'amore. Lost and delirious, in origine, tanto per mantenere un livello accettabile di ottimismo. Bè, imperdibile, cazzo. Però allora al cinema andavo poco e mi piacevano soprattutto i film del mercoledì sera, quelli che mi davano una pacca sulla spalla all'uscita della sala e mi dicevano, dio ti benedica compagna alternativa.


Allora ve bé, sono passata al videonoleggio. Però uno di quelli impersonali, modalità bancomat. E ho fatto quello che dovevo fare. Era ancora una videocassetta. E così, a casa, ho cominciato a guardarlo e sono rimasta esterrefatta da questa cosa che tutte le lesbiche ne parlassero, perché non c'erano donne in quel film. C'erano delle automobili! E allora ho pensato, ma in che razza di mondo mi hanno messo? Come farò a sopravvivere, se la tribu eterosessuale mi ha rinnegata e quella lesbica lo farà appena si accorge di me?


Niente, fondamentalmente avevo preso Fast and forious invece che Lost and delirious. In inglese non sono mai stata una cima. Non riesco a dare credibilità a una lingua che non sia la mia. Questo è un limite incredibile. Quando non riconosco le mie parole, anche se capisco quello che quegli idiomi lontani vogliono dirmi, non dò loro la minima credibilità. 


Poi ho guardato il film corretto e ho preferito il primo.

mercoledì 9 novembre 2011

Venti alla volta.

Stavo per girarmi una sigaretta. E intanto guardavo le statistiche del blog. Ho saputo oggi della loro esistenza. Mi meraviglio ogni volta della quantità di cose che ignoro, non senza una certa forma di autocompiacimento, per poi stupirmi di tutto come un'idiota. Va così. Dalle statistiche è risultato che i post contenenti almeno una volta la parola lesbica (per chi volesse saperne di più) sono mediamente letti il doppio degli altri. Per questo dirò lesbica lesbica lesbica.


E ora parliamo di fumo. Tra pochi mesi faccio dieci anni ti tabagismo. Ho alternato fasi diverse, come ogni fumatore. Ci pensavo ieri, mentre guardavo un pacchetto di tabacco aspettando che mi dicesse qualcosa. E così, ho deciso di ricordarmi di tutte le marche che ho attraversato. In genere questo è uno di quei giochi che faccio quando non riesco ad addormentarmi, spero possa aiutare anche voi. Una sera, al liceo, tentavo di ricordarmi tutti gli orologi che indossavano i miei compagni di classe, rigorosamente per disposizione di banco. A un certo punto non mi veniva in mente quello di Giovanna e ho passato quasi tutta la notte con questo pensiero ossessivo. Era un casio g-shock rosa porcello.


Allora, dunque, ho iniziato con le Merit in gita, perché mi sembrava un nome poco impegnativo da annunciare alla tabaccaia, in barba alla mia timidezza patologica di allora. Un attimo dopo fumavo una Benson and Hedges, come il buon Cesare Cremonini in Un giorno migliore (godetene tutte). Il pacchetto da venti costava due euro, erano ancora momenti in cui bastava una monetina per essere felici. Un febbraio di terza liceo ho virato bruscamente sulle Camel. Quelle normali, fumose. Ho pensato, sono lesbica, posso. Puzzavano incredibilmente. L'estate della maturità è stata attraversata dalla cometa Reynolds: erano sigarette normali, con un pacchetto diverso, che faceva pandane con la mia condanna di genere. Ora, se le cercate su google immagini, compaiono alcune bare. Speriamo bene. 


I primi tempi dell'università sono stati molto fumosi. La scarsa lucidità di ogni giorno mi faceva frequentare abbondanti pacchetti di Diana blu e lo confesso, una volta o due pure le rosse. Mai stata più lesbica. Poi sono uscita un paio di volte con le Pall Mall, tutta immagine, sostanza zero. Anzi, mi facevano pure un po' schifo. Marlboro touch, quando stavo con una ragazza che le fumava: ma lei aveva molti soldi, abitava in Sant'Ambrogio. Camel light, amiche fedelissime per quattro anni. Ogni tanto mi mancano.


Poi chiaro, una serie di incontri occasionali, tra i quali ricordo con affetto quello con le Linda. Una marca di sigaretta che ho preso solo perché mi faceva pena. E le Muratti, per vedere come ci si sente a sessant'anni. Quelle ultrasottili mai e poi mai invece. Piuttosto mi metto i tacchi.


Ora fumo il tabacco. Perché costa meno e mi mostra più in linea con il mio personaggio. Insomma, ha più plus che minus, che sono le cartine che a volte mi si strappano e i filtrini che vanno da tutte le parti. Una volta ne ho ingoiato uno, ridendo mentre lo stringevo tra i denti. E' stata una sensazione orribile, ho dovuto bere molto per farlo andare via. Mia nonna avrebbe spezzato e offerto un tozzo di pane, in modalità ultima cena, per cacciarlo. Mia nonna è ancora viva e la saluto: ciao nonna.


E con questo post inutile chiudo quest'inutile mercoledì. Mi servirebbe più tempo per scrivere.
Mi servirebbe più tempo per vivere.

domenica 6 novembre 2011

Disgrazie eccetera.

Stamattina, mentre mi ammazzavo di vasche, pensavo a un paio di cose, ossessivamente. Il nuoto è un'attività che asseconda molto i pensieri controproducenti. Innanzitutto pensavo che mettersi a nuotare in quel modo, avanti e indietro, è qualcosa del tutto innaturale. Voglio dire, si è mai visto un pesce andare a correre? Il secondo pensiero era rivolto a quello che è successo a Genova e alle catastrofi tutte e di come vengano mediamente affrontate dalle persone che incrocio.

Quando ci si imbatte in questi discorsi si cade inevitabilmente in qualche forma di qualunquismo, che però è anche il primo punto del manifesto di questo blog, quindi non potrei in ogni caso sottrarmene.

E' che non si parla più di quello che succede. Sarà che si lavora tanto e senza orari, e che non si guadagna un cazzo, e che la sera spesso si è molto stanchi, e che la frustrazione è l'unica compagna che ci comprende davvero. Dopotutto, se le cose andassero bene, i social network non avrebbero tutto il successo che continuano ad avere.

E però si parla poco. Penso allo sharing, alla condivisione. Penso alla Genova di questi giorni. E penso alle disgrazie in generale. E poi penso che questo famoso sharing si nutre soprattutto di disgrazie. E allora via, si linka. Linkiamo De Andrè, che fa sempre la sua figura e per una volta cade davvero a pennello. E poi linkiamo il video della ragazza alla finestra che riprende i cassonetti che fanno le vasche per le strade e dice cazzocazzocazzo. Linkiamo la storia della mamma rimasta uccisa con le due bimbe. Linkiamo l'abusivismo, gli articoli de Il Post, Ilfattoquotidiano. Le brillanti comparazioni tra Genova e L'Aquila. Linkiamo le catene e i numeri verdi e tutto quello che potrebbe aiutare quelle persone che stanno surfando sui divani. 

E' che tutto questo non aiuta nessuno, e che non riesco a non vedere una forma di protagonismo della disgrazia. Chiaro, non in tutti e non sempre e soprattutto mai consapevole. Ma ci sono persone che si prodigano in mille attività (tutte rigorosamente da scrivania) ogni volta che succede qualcosa. E sono le stesse che guardano tutti i fotolink di Repubblica: il fiume, i morti, le macchine, i cassonetti. C'è una galleria per ogni oggetto, i giornali distribuiscono kit per il bravo amico dell'alluvionato.

Poi vai al bar e la gente al tavolo mica intona Creuza de ma o La città vecchia, in onore della Genova allagata. Mica parla dell'alluvione, la gente, quando si incontra. O se ne parla, lo fa con discrezione e con una specie di distacco rispettoso, e le frasi finiscono quasi sempre con uno sbuffo e le braccia che si aprono come a dire: che cazzo, è successo. In internet invece vale sempre tutto. Ed è un tutto che non coincide con quello che capita per la strada. E allora continuiamo a guardare le foto di Corriere.it sperando silenziosamente di incontrare almeno un cadavere galleggiante e poi spegnamo e andiamo a dormire. 

Fortuna che di disgrazie è pieno il mondo.

giovedì 3 novembre 2011

Oggi, qualunquismo.

Ieri parlavo di questo blog a una lesbica che a quanto pare ne sa. E mi sono accorta di non saperne niente. Questa rivelazione socratica mi ha trascinata in un vortice di frustrazione infinito, tanto che volevo chiudere il blog piangendo anche per un'altra serie di motivi tra cui il mio stipendio, le alluvioni in Thailandia e il programma di Renzi. Due bicchieri di rosso più tardi, tutto come prima. 

Il guaio è che le lesbiche sono molte, ed è difficile parlare a tutte. Per ora mi seguite in cinque o sei, ma io ho la tendenza a ingigantire problemi inesistenti. Insomma, siamo in molte. Considerando che quasi tutte le lesbiche che ho incontrato le ho conosciute a letto, sono cresciuta con la convinzione che si trattassero esclusivamente di creature da parquet, ninfe da piumone, dame da lenzuola. Bellissime, certo, ma estremamente contestualizzate. E così mi sono persa tutto il resto.

Poi un giorno mi sono accorta che le lesbiche esistevano a prescindere dalle mie pulsioni sessuali. Ho oltrepassato uno Stargate senza ritorno, ma sono rimasta in una specie di limbo: quello dell'ignoranza per la mia stessa specie. Un pinguino sa tutto degli altri pinguini? E un suricate? E i canguri? Non sono alibi, non sono alibi.

Allora ho iniziato a guardarmi in giro. E ho scoperto che esistono lesbiche di qualunque foggia e dimensione e hanno interessi diversi e si aggregano e stanno ovunque oppure da nessuna parte e ieri mi hanno detto, datti alle alternative, oppure, devi parlare a tutte, mica solo alle radical chic del cazzo, ma, ma tu hai mai visto una puntata di L-word?

Mai. E così, in questa giornata grigia e monodimensionale ho realizzato che tutte possiamo dare qualcosa alla nostra grande famiglia senza relazioni di parentela. E quello che ho deciso di apportare al nostro focolare sempre spento è una massiccia dose di qualunquismo a guisa di ceppo di legno. Voglio dire, c'è chi fa la fila per una dedica di Fabio Volo, le troverò quattro stronze che arrivano fin qui.

mercoledì 2 novembre 2011

Chat amarcord.

Da adolescente sono stata un'incallita chattatrice. Dopo aver scoperto (per caso) una chat lesbica, avevo deciso di dedicare la mia intera esistenza a questa causa senza scopo. Ho trovato molte delle mie donne in chat. Non so se l'avete notato anche voi, ma ci si vergogna sempre a raccontare di aver trovato la propria donna in una chatline. Lo capisco. In sé è di una tristezza che lascia senza fiato, ma è pur sempre una soluzione valida.


Scopare è la meta, poi, come ci si arriva, è un dettaglio. Io avevo deciso di trovare donne stando comodamente seduta in poltrona, come un pensionato al suo decimo anno di inattività lavorativa. Ogni tanto sorseggiavo del te, come se qualcuna poi potesse vedermi. Era il duemila e le chat erano spoglie e grezze. Per almeno tre anni non ho fatto altro che chattare, scambiarmi il numero di telefono e incontrare, incontrare, di continuo.


Mi ricordo che a un certo punto mia madre aveva nascosto il modem, complice mio fratello. Io mi sono abbonata a un internet point. E tra un cingalese e un magrebino, continuavo imperterrita la mia attività peccaminosa di lesbica e internet dipendente. Poi è arrivata l'adsl e la possibilità di lasciare libero il telefono di casa stando contemporaneamente al pc. Il resto è storia che conosciamo tutte.


Potrei scrivere pagine e pagine sui miei incontri al buio, e di certo non mancherò di riportare i più significativi. Non farò nomi solo perchè non me li ricordo. 


Sono tornata in una chat, qualche mese fa. Rimane il refugium peccatorum di chi resta improvvisamente sola ed è troppo povera per bere sufficienti Long Island da affrontare una serata lesbica qualunque. Non è più come una volta. Skype e Facebook sono diventati i nemici numero uno dell'anonimato e del mistero da chat. Ci si scambiano i contatti ed è subito faccia, corpo, taglia di reggiseno, gusti musicali, attività del giorno. 


Ci si scambia tutto ancora prima di darsi qualcosa. E questo non sarebbe nemmeno male, se non fosse che le facce di turno sono spesso incompatibili con i propri gusti. Inguardabili, se vogliamo. E allora si lascia perdere. Una bottiglia di Montenegro al supermercato non è ancora un bene di lusso.

martedì 1 novembre 2011

Da qualche parte si deve iniziare.

A sedici anni ho aperto per la prima volta un libro di letteratura greca. Era bianco, pulito, asettico, un po’ come questo blog. E mi ricordo di quanto fosse leggero, nonostante la sua mole, rispetto ai libri delle altre materie. Non aveva nulla che non andasse, ma nemmeno niente che potesse andare. Era mio, ma uguale a quello di tutti gli altri. Era qualcosa di indefinito, un po’ come me. Con il tempo ha cominciato a sporcarsi, piegarsi, ha trovato una sua dimensione nello spazio sempre uguale dello zaino, identico a quello di tutti i miei compagni di classe. A maggio portava il mio nome, i miei scarabocchi, i 4 che disegnavo ossessivamente a bordo pagina (ancora non mi è chiaro il motivo, ma ho continuato per anni), ed era pronto a tutto, anche a Saffo. Come me.

Del capitolo di Saffo ricordo solamente un particolare, che è poi tutto quello che so di Saffo, salvo qualche verso che devo avere intravisto in un paio di volantini lesbici pseudoimpegnati. Diceva qualcosa come “la poetessa aveva un incarnato olivastro e della peluria sul viso”. Bè, è stato una rivelazione. Che Saffo fosse lesbica, lo sapevo già perfino io, ma che avesse i baffi. L’ho sottolineato molte volte e, due mesi dopo, ho trovato la mia prima ragazza (senza baffi e con molte altre mancanze).

Penso che la vita sia un susseguirsi di eventi apparentemente inutili, che nella loro inutilità si incastrano perfettamente l’uno con l’altro e tessono qualcosa che alla fine non è tanto male. E’ la nostra esistenza, ed è qualcosa che ci appartiene, anche se potremmo averne una migliore. Oggi, per puro caso, mi sono imbattuta in un blog lesbico estremamente frequentato, che però non mi piaceva per nulla, e così ho pensato di aprirne uno mio. In ogni caso saluto quel blog, ciao Lesbianfordummies, e grazie per l’imput (la mia è solo invidia, forse).

A cosa serve questo spazio? A niente. Qui si parla di ciò che ci riguarda, ma solo se ci va. E si legge, ma solo se ci va. Io vedrò che mi vada di scrivere, o non ci sarà nessun blog. Si creerà con il tempo e si sporcherà e allora sarà bello, come il mio libro di greco, se lo riapro ora.