Con 14 voti (son numeri) e il 36% dei consensi ha vinto il post Uomini e lesbiche. E dire che l'avevo messo in lista solo perché tre opzioni mi sembravano troppo poche. Così va la vita. Uomini e lesbiche, che posso scrivere? Nemmeno ci ho pensato. Ma c'è tanto da dire. Tanto che appena ci penso le mani iniziano a battere da sole sui tasti. Questo post sta iniziando ora.
Premetto che gli uomini, mediamente, mi piacciono molto. Fino a qualche anno fa mi mettevano in imbarazzo. Non attraendomi, infatti, mi sembravano presenze inopportune e nient'altro. Più che inopportune, superflue. Non avevo, ai tempi, amici maschi che non fossero omosessuali, e anche quelli omosessuali, salvo per l'assenza di peli, non mi destavano grande interesse. Ma si sa, quando si è giovani c'è posto solo per l'amore carnale.
Con gli anni ho conosciuto molti uomini, alcuni dei quali sono diventati amici stretti. Gli uomini mi piacciono perché hanno la barba e perché possono fare la pipì in piedi. E poi perché se girano senza maglietta è normale. Ecco, mi piacciono perché fanno tutto questo con naturalezza, e nemmeno si accorgono di essere dei privilegiati. Fino a quando non ti fottono un posto di lavoro e via dicendo. Mi piacciono perché possono essere molto teneri, benché sempre meno empatici anche rispetto alla peggio donna. Ma quella tenerezza lì, che hanno gli uomini quando ne sono capaci, è qualcosa che mi dà fiducia nel genere umano. Sa di cacao nel latte e delle mani ruvide di mio padre. E poi gli uomini mi piacciono perché spesso hanno paura, ma tentano di nasconderlo. Agli uomini piace l'idea di poter rassicurare. Inutile. Il pragmatismo della femmina in determinate circostanze è inarrivabile.
Si parla spesso male della relazione che intercorre tra uomini e lesbiche. Subito la mente va al maschio etero che cerca lesbian su youporn, nel suo inglese migliore. E che si eccita guardando due che non sono senz'altro lesbiche, credendole lesbiche, pensando che le lesbiche abbiano quella foggia. Bè, questo modello di uomo è superato. Nessun maschio con un minimo di istruzione e che sia uscito almeno venti chilometri dal luogo natio, può credere veramente a quello che si trova su youporn. Pertanto, non sprecherò più una parola su questo uomo, che chiamerò Maschio giurassico.
Certo, un uomo davanti a una lesbica, raramente rimane impassibile. Anzi, mai. Soprattutto nel delicato momento del coming out. Per questo motivo ho deciso di selezionare alcuni esemplari di maschio etero relazionante donna lesbica. Chiaro, qualunque generalizzazione arreca tristezza, ma questa è una catalogazione ascientifica e del tutto basata sulla mia esperienza. Quindi, vera.
Il Maschio incredulo.
Trattasi di un esemplare piuttosto comune. Reagisce al coming out spalancando gli occhi, come certe specie di pesci esotici quando si spaventano. Perché in effetti in quel momento non è molto tranquillo. Qualcosa gli è sfuggito, ed essendo un maschio che ama avere tutto sotto controllo, si sente smarrito. Fondamentalmente gli è sfuggita l'esistenza dell'omosessualità. Non solo non sa cosa rispondervi, quasi si offende, proprio perché gli avete scombinato i piani. Dovete prenderlo di petto, sebbene capisco che non sia molto allettante. Il maschio incredulo di buono ha che non tornerà sull'argomento. Continuerà a frequentarvi, ma con meno entusiasmo, negando che qualcosa sia cambiato. Quando sarete lontane, parlerà di voi, basito. Se tutte fossero come lei, dirà, la nostra specie arriverebbe al capolinea. Subito dopo abbraccerà la sua ragazza pensando che è stato solo un brutto sogno.
Il Maschio curioso.
Il maschio curioso accetta di buon grado la vostra omosessualità e regredisce ai quattro anni e mezzo, subissandovi di domande che nessuno mai vi aveva fatto. Nemmeno voi stesse nei momenti più bui. Il maschio curioso non è necessariamente morboso, ha bisogno di capire. Talvolta però risulta pedante. Per esempio quando vi chiede: sì, ma, in pratica come fate? Alludendo alla copula. Di buono ha che non si aspetta risposte esaustive, trova catartica la semplice domanda. Quando gli presentate delle vostre amiche è felice come un bambino di fianco all'albero di natale la mattina del venticinque, perché può dare sfogo a tutti i suoi perché.
Il Maschio che improvvisamente vi vede uomini.
Questo è un esemplare interessante. Nel momento in cui gli dite di voi, smette di pensare che continuate ad avere un utero e inizia a trattarvi come il compagno del calcetto. Non passerà una donna senza che vi dica: hai visto che figa? Non passerà giorno in cui non voglia raccontarvi di tutte le sue prodezze sessuali chiedendovi: e tu? Il Maschio che improvvisamente vi vede uomini capita che se gli gira, ti invita pure al Motor Show. E dire che fino a un mese prima si andava a teatro. Non è cattivo, è fuori dal mondo. Attenzione a quando diventa competitivo.
Il Maschio empatico.
Il maschio empatico è quello che, dopo il coming out, diventa la vostra confidente. La migliore amica che non avevate mai avuto. Non vedeva l'ora. Il Maschio empatico è felicissimo di essere stato reso partecipe di questo segreto (che sanno tutti) e non manca di interessarsi alla vostre vicende sentimentali e di vita in genere. Non è mai invadente, e qualche volta offre da bere. Vi chiama per sapere come state e si ricorda dei vostri appuntamenti. Quando ha bisogno di parlare, lo fa senza alcun problema. Quando soffre, piange senza vergogna. Tutte dovrebbero incontrare un Maschio empatico: è amico per la vita.
Il Maschio che vi salverà.
Viene ingiustamente accusato di egocentrismo. Ma lui è convinto che voi siate lesbiche perché ancora non l'avevate incontrato. Il Maschio che vi salverà, nel momento in cui vi dichiarate omosessuali, si dichiara innamorato di voi. Non è perverso, non è scabrosa la sua attività. È una missione, un imperativo categorico a cui non riesce a sottrarsi. Il fatto che nemmeno perdiate del tempo a rifiutarlo, non lo fa demordere. Ogni tanto, con qualcuna, ce la fa. E allora si sente realizzato per sempre. Andateglielo voi a spiegare che era una lesbica della domenica.
Se conoscete altri tipi di maschio, non esitate a parlarne.
domenica 29 gennaio 2012
lunedì 23 gennaio 2012
Saffo aveva i baffi @ Cuore di Manza.
Prima che il sondaggio si chiuda e io non parli di quello che avrete votato, volevo dirvi che domenica prossima, ovvero domenica 29 gennaio alle 21 sarò ospite a Cuore di Manza, un programma radio molto bello che parla d'amore e dintorni.
Il tema della puntata ancora non c'è, però io ci sono.
Se vi va, il link per ascoltare è questo.
Visto che il programma è in diretta è possibile interagire con alcune domande o altre cazzate. Basta mandarle alla mail che vedete qui di fianco. In alternativa me le scriverò da sola, ovviamente rispondendomi.
Au revoir.
sabato 21 gennaio 2012
Lesbiche e gatti.
Ci sono argomenti difficili da affrontare. Allora quando entro nel mio blog e clicco su nuovo post penso: non ce la farò. Per questo non scrivo quasi mai ciò che mi ero riproposta. Inizio e poi vado su tutt'altro. Ma ora che ho messo questa in loop, penso che non mi fermerà più niente e allora via, parlerò di lesbiche e gatti. E di gatti in generale. Premetto che si tratterà di un intervento che mi renderà molto impopolare. In questo sabato di sole, però, pare proprio che l'onestà intellettuale voglia prevalere sull'ego e allora cosa posso farci, se i gatti mi stanno sui coglioni.
Non amo particolarmente le donne che possiedono animali. Come quelle che possiedono figli, del resto. Tutto ciò che distoglie l'attenzione dalla mia presenza mi arreca insicurezza e una certa voglia nemmeno troppo sottile di prendere e andare a morire da qualche parte, tipo sulle rive di uno dei nostri fiumi inquinati e dire ve l'avevo detto. Ho avuto donne con animali, ma erano persone coscienziose e attente, pertanto ho resistito e sono anche stata felice, sul divano, con il cane che mi sfilava la girella motta dalle mani mentre guardavo le repliche di Forum. Perché io amo molto gli animali, purché non abbiano a che fare con la persona con cui ho già a che fare io.
Molte lesbiche hanno i gatti. Molte lesbiche amano i gatti. Nelle foto profilo di molte, moltissime lesbiche, ci sono i gatti. I loro gatti. Amati, nutriti, indifferenti, stanno sdraiati sui macbook pro come non ci fosse un domani, passano dietro una bottiglia di Braulio in un'hypstamatic, hanno carezze sul pancino. Io non ho mai avuto una foto dietro una bottiglia di Braulio. Io le carezze sulla pancia devo meritarmele. Ma soprattutto, provate ad addormentarvi su un macbook pro invece di adempire ai vostri doveri di fidanzate. Davvero, non riesco a comprendere questa simbiosi tra la lesbica e il felino, questa empatia immotivata, questa idolatria cieca verso un animale che ok, salta, miagola, fa le fusa, ma piscia pure in una vaschetta di sabbia e vomita sfere di pelo.
Io ce l'ho con i gatti. Da sempre. Perché mi rubano attenzioni e con me non sono mai stati gentili. Mai. Da piccola avevo una specie di tata che spesso mi portava a casa di una sua amica, una che tra l'altro augurava la morte al marito ogni volta, e io mi prendevo molto male anche se avevo solo cinque anni e avrei preferito non ascoltare e visto che non erano discorsi per bambini mi diceva: vai a cercare Messalina. Messalina era questa cazzo di gatta grigia con un pelo da yeti, che io sapevo benissimo dove trovare. Stava sempre sotto il letto. E allora mi ricordo che aprivo questa stanza grande e fredda, che aveva un odore come di rosa, e mi inginocchiavo e sollevavo il copriletto e guardavo. E lì c'era Messalina e i suoi occhi gialli e spocchiosi. Ed era tutto lì, ok? Ho provato decine di volte a chiamarla, ad avvicinarla, battevo i miei polpastrelli di cucciolo sul parquet e lei soffiava. Mi avvicinavo strisciando sul pavimento e lei soffiava. Tentavo di fotterla sorprendendola alle spalle, ma lei era già girata verso di me. Mai una carezza, mai una tenerezza.
Poi, verso i sedici anni, ho sviluppato una forte allergia ai gatti. Starnuti, bollicine, pruriti al palato, insomma, la tipica sintomatologia istaminica. E allora ho provato ancora più dispetto. Fino a quando qualche settimana fa, scopro che esiste una razza di gatto adatta agli allergici, il siberiano. E io ho pensato, ok, ma non è che stato lui a rendersi adatto agli allergici, non ha mosso una zampa. Semplicemente gli enzimi della sua saliva sono meno cattivi. E allora in culo al siberiano, scusate. Con tutto che poi dei russi non mi fido troppo. In ogni caso ancora non mi spiego perché tante lesbiche, tanti gatti. Perché non criceti? Perché non iguane? Perché non cincillà? Petauri dello zucchero? Pitoni? Slow Loris?
Perché le lesbiche spesso sono stronze. Altezzose. E pelose.
Non amo particolarmente le donne che possiedono animali. Come quelle che possiedono figli, del resto. Tutto ciò che distoglie l'attenzione dalla mia presenza mi arreca insicurezza e una certa voglia nemmeno troppo sottile di prendere e andare a morire da qualche parte, tipo sulle rive di uno dei nostri fiumi inquinati e dire ve l'avevo detto. Ho avuto donne con animali, ma erano persone coscienziose e attente, pertanto ho resistito e sono anche stata felice, sul divano, con il cane che mi sfilava la girella motta dalle mani mentre guardavo le repliche di Forum. Perché io amo molto gli animali, purché non abbiano a che fare con la persona con cui ho già a che fare io.
Molte lesbiche hanno i gatti. Molte lesbiche amano i gatti. Nelle foto profilo di molte, moltissime lesbiche, ci sono i gatti. I loro gatti. Amati, nutriti, indifferenti, stanno sdraiati sui macbook pro come non ci fosse un domani, passano dietro una bottiglia di Braulio in un'hypstamatic, hanno carezze sul pancino. Io non ho mai avuto una foto dietro una bottiglia di Braulio. Io le carezze sulla pancia devo meritarmele. Ma soprattutto, provate ad addormentarvi su un macbook pro invece di adempire ai vostri doveri di fidanzate. Davvero, non riesco a comprendere questa simbiosi tra la lesbica e il felino, questa empatia immotivata, questa idolatria cieca verso un animale che ok, salta, miagola, fa le fusa, ma piscia pure in una vaschetta di sabbia e vomita sfere di pelo.
Io ce l'ho con i gatti. Da sempre. Perché mi rubano attenzioni e con me non sono mai stati gentili. Mai. Da piccola avevo una specie di tata che spesso mi portava a casa di una sua amica, una che tra l'altro augurava la morte al marito ogni volta, e io mi prendevo molto male anche se avevo solo cinque anni e avrei preferito non ascoltare e visto che non erano discorsi per bambini mi diceva: vai a cercare Messalina. Messalina era questa cazzo di gatta grigia con un pelo da yeti, che io sapevo benissimo dove trovare. Stava sempre sotto il letto. E allora mi ricordo che aprivo questa stanza grande e fredda, che aveva un odore come di rosa, e mi inginocchiavo e sollevavo il copriletto e guardavo. E lì c'era Messalina e i suoi occhi gialli e spocchiosi. Ed era tutto lì, ok? Ho provato decine di volte a chiamarla, ad avvicinarla, battevo i miei polpastrelli di cucciolo sul parquet e lei soffiava. Mi avvicinavo strisciando sul pavimento e lei soffiava. Tentavo di fotterla sorprendendola alle spalle, ma lei era già girata verso di me. Mai una carezza, mai una tenerezza.
Poi, verso i sedici anni, ho sviluppato una forte allergia ai gatti. Starnuti, bollicine, pruriti al palato, insomma, la tipica sintomatologia istaminica. E allora ho provato ancora più dispetto. Fino a quando qualche settimana fa, scopro che esiste una razza di gatto adatta agli allergici, il siberiano. E io ho pensato, ok, ma non è che stato lui a rendersi adatto agli allergici, non ha mosso una zampa. Semplicemente gli enzimi della sua saliva sono meno cattivi. E allora in culo al siberiano, scusate. Con tutto che poi dei russi non mi fido troppo. In ogni caso ancora non mi spiego perché tante lesbiche, tanti gatti. Perché non criceti? Perché non iguane? Perché non cincillà? Petauri dello zucchero? Pitoni? Slow Loris?
Perché le lesbiche spesso sono stronze. Altezzose. E pelose.
domenica 15 gennaio 2012
Sindrome premestruale e altre faccende.
Avevo un sacco di cose da raccontare. Davvero, tante che quasi le volevo segnare sul quel cliché di cartoncino che si ostinano a chiamare Moleskine. Invece poi le ho scordate tutte. Ho passato una settimana in ufficio, a soffrire. E quando è stato tempo di uscire, ho scoperto che non avevo poi molto da fare e m'è venuta una tristezza, come se mi mancassero tre giorni ancora da vivere e tanti saluti, e un desiderio animale di farla finita, ma non in modo violento, di andare a morire lontano dalla vista di tutti, come fanno i gatti.
Ecco, lesbiche e gatti era uno degli argomenti che avrei voluto affrontare. Ma l'umore di questa sera non mi permetterà di affrontare nemmeno la cena. La chiamano sindrome premestruale, pare che la maggior parte delle assassine uccida proprio durante questo periodo. Portentoso, no? La conoscete tutte, anche se fate finta di niente. Lo so, anche io non vorrei parlarne mai, e invece mi ritrovo a leggere un blog che parla di abiti da sposa e le domande delle neomamme su alfemminile. La vita va così, qualche volta. Il Mio Eric ha le colichette, a cosa sono dovute? Probabilmente al nome che gli hai dato.
Sono rimasta sconvolta da un'affermazione che ho sentito fare a più persone, nel corso degli anni. Queste femmine raccontavano che durante i giorni prima delle mestruazioni piangono davanti alle pubblicità di Mulino Bianco e accantonano momentaneamente Kieslowski per dedicarsi a Caterina e le sue figlie o Il bello delle donne 4. Sì insomma, mi sconvolgeva questo rapporto strettissimo tra la sindrome premestruale e la televisione, più che altro. Mi sono fatta tante domande e avevo addirittura pensato di trarne un pamphlet, poi mi è passato di mente. Probabilmente ho preferito Un medico in famiglia, e il momento era arrivato anche per me.
So che non ha il minimo rilievo, ma durante il periodo premestruale il mio appetito sessuale aumenta esponenzialmente. Vorrei parlare a una delle due ovaie a progetto, dirle baby, è inutile che lavori, non succederà niente. Non succederà mai niente probabilmente. Eppure. So che è spaventoso, ma durante il periodo premestruale anche gli uomini mi sembrano bellissimi. Trovo qualcosa di appetibile perfino in loro. Non in tutti, chiaro. A me piacciono i tamarri, quelli con la canottiera e il cappellino e l'anellino nel labbro inferiore. Rigorosamente più giovani di me. Quelli che al sabato pomeriggio stanno in via Torino a guardare le Air Max. Che la natura fosse matrigna era chiaro da anni, ma che fosse pure sadica da farmi desiderare qualcosa per cui provo repulsione (e mi riferisco alle Air Max). Terribile, terribile. Quando quel momento finisce mi sento meglio, il pericolo è passato.
Però mi lascia una serie di domande (come sempre) a cui non posso rispondere. E allora niente, passo una domenica a casa a catalogare cose che non mi interessano, e ogni tanto apro la finestra e vedo la nebbia e la richiudo, sforzandomi di rimanere sempre ad almeno dieci metri dal frigorifero. Poi mi faccio un te, poi un altro, poi sfoglio un libro, mi dimentico di rispondere a un paio di messaggi, mi sdraio sul letto, accendo la tv e la spengo subito perché non ci sono fiction. Ripenso a quando ero felice e penso: ma quando mai? E torno alla finestra, la riapro, vedo la stessa nebbia di prima, la richiudo e scrivo qui.
In compenso la sindrome premestruale quando non ci tocca direttamente è bellissima. Le donne acquistano un'aura tutta strana, tutta femmina, che personalmente mi dà speranza. Diventano insicure, per esempio. Altre invece vogliono che tutto rimanga in ordine. Chi non piange mai, lo fa. Chi di solito non è gelosa, lo diventa. Chi non urla, alza la voce. Niente, è inspiegabile.
Ma soprattutto a tutte, ma proprio a tutte, si ingrossano le tette. Il che, per me, se non è tutto, è sicuramente abbastanza.
sabato 7 gennaio 2012
Il paese dei finocchi.
Quando si nasce in un paese piccolo anche se non minuscolo, come quello in cui sono nata io, e ci si scopre omosessuali, una sola domanda trova spazio nella propria testa contronatura: e adesso? Ovviamente non esiste una risposta. La domanda stessa scatena una serie di infiniti microquesiti come: qualcuno l'avrà capito? Dove troverò chi mi dà retta? Quella tizia che parcheggia il camion ogni sera in via Trento è come me? E via dicendo. E lì, giorno dopo giorno, ci si fa strada in una palude che sembra non finire mai. Ogni passo è un parto, le zanzare sono dappertutto, il fastidio della propria condizione è insopportabile. In due parole, ci si sente soli come mai era successo prima.
Io però non ero infelice, ero curiosa, e ogni cosa mi sembrava nuova, come se fossi appena nata. Sicuramente mi ha aiutato il fatto che sono passata dai playmobil a sganciare reggiseni e che quindi non ho maturato alcuna consapevolezza di alcuna condizione e tutto è sempre stato un gioco che mi faceva stare male come qualunque cosa, come anche i playmobil per dire, perché certe persone nascono così e poi vanno avanti tutta la vita e ogni cosa è sofferenza eccetera e non è un crogiolarsi nel dolore, è così e punto, come avere la erre moscia o essere uno e novanta o che so io.
Ai tempi avevo una bella bicicletta, ereditata chiaramente, come il dizionario di greco e certe felpacce che mia madre si ostinava a vendermi come vintage in tempi non sospetti. Sicuramente una donna avanti, per certi aspetti, preistorica per altri, ma tant'è. La mia bicicletta mi portava ovunque, ma soprattutto in stazione, perché i treni per Milano sembravano essere l'unica soluzione a questa piaga dell'omosessualità che ormai mi aveva attanagliata e indietro non si poteva tornare più e l'unica cosa che mi piaceva dei maschi erano alcune loro scarpe e il fatto che pisciassero dietro alle piante come cani randagi: condizioni che non permettono il proseguimento della specie.
Era come vivere due vite. Una nel mio paese con le persone di sempre, l'altra altrove, con persone sconosciute e lontane anche sotto lo stesso lenzuolo. Quando si vive una vita doppia senza far male a nessuno si diventa come dei supereroi e io ero il più sfigato dei supereroi, quello in bici. Ed erano due vite così separate, non comunicavano per forza di cose, erano lontanissime l'una dall'altra e io me ne stavo in mezzo, un po' qui un po' lì, senza un perché, mai. Non dicevo quasi a nessuno di me, perché non mi andava di rompere certi equilibri che col tempo erano diventati di cemento ed era bello così, era giusto. E quando facevo coming out mi sentivo ancora più sfigata, perché mai uno che mi rispondesse: pur'io son frocio e mi abbracciasse fino al giorno dopo. Macché.
Poi, crescendo, questa solitudine me la sono fatta amica. Ce l'avevo sulle spalle che ormai mi piaceva, l'accarezzavo, stava lì come una scimmia cappuccina e io la nutrivo, le volevo bene, pensavo fosse diventata la prima vera certezza della mia esistenza. Poi, a un certo punto, quelli come me hanno iniziato a sbucare come i funghi nel bosco. Certo, io ero cieca, sicuramente erano persone visibilissime a chiunque, ma non mi accorgo mai delle cose troppo velocemente. E arrivano: il mio amico preferito del liceo, una che abita dietro casa mia, il cugino di un'amica, una decina di femmine che vedevo tutti i giorni nello stesso posto, una ragazza che studiava in biblioteca e che poi è diventata amica amica, persone insospettabili che a loro volta si trascinavano una serie infinita di froci e allora all'improvviso dalla solitudine sono passata all'oberazione, tanto che se lo racconto in giro qualcuno non ci crede e mi chiede: ma dove cazzo vivi? Eh, sarà stato il cromo esavalente, sarà stata l'industrializzazione massiccia, saranno stati i trattori, non so. Ma da quel giorno senza una data tutto ha acquisito una sua dimensione di normalità, un equilibrio caduto dal cielo, come certi miracoli che ci si chiede, ma succedono davvero? Evidentemente.
E allora, quando in qualche forum leggo di ragazze che si trovano nella condizione in cui mi trovavo io a sedici anni, mi viene da pensare che, prima o poi, succede a tutti sta cosa. Magari non fuori casa, magari in un altro continente. Ma ci si ritrova, come non essersi mai persi, e si capisce che non c'è niente di sbagliato da nessuna parte, che poi io non ho mai pensato fosse qualcosa di sbagliato, ma di diverso sì. E penso che non serva decidere niente, che le cose accadono quando devono succedere. Poi, se non accadono e si hanno le rughe, ecco allora ci si mette a cercare seri.
Ma solo quando si hanno le rughe.
Io però non ero infelice, ero curiosa, e ogni cosa mi sembrava nuova, come se fossi appena nata. Sicuramente mi ha aiutato il fatto che sono passata dai playmobil a sganciare reggiseni e che quindi non ho maturato alcuna consapevolezza di alcuna condizione e tutto è sempre stato un gioco che mi faceva stare male come qualunque cosa, come anche i playmobil per dire, perché certe persone nascono così e poi vanno avanti tutta la vita e ogni cosa è sofferenza eccetera e non è un crogiolarsi nel dolore, è così e punto, come avere la erre moscia o essere uno e novanta o che so io.
Ai tempi avevo una bella bicicletta, ereditata chiaramente, come il dizionario di greco e certe felpacce che mia madre si ostinava a vendermi come vintage in tempi non sospetti. Sicuramente una donna avanti, per certi aspetti, preistorica per altri, ma tant'è. La mia bicicletta mi portava ovunque, ma soprattutto in stazione, perché i treni per Milano sembravano essere l'unica soluzione a questa piaga dell'omosessualità che ormai mi aveva attanagliata e indietro non si poteva tornare più e l'unica cosa che mi piaceva dei maschi erano alcune loro scarpe e il fatto che pisciassero dietro alle piante come cani randagi: condizioni che non permettono il proseguimento della specie.
Era come vivere due vite. Una nel mio paese con le persone di sempre, l'altra altrove, con persone sconosciute e lontane anche sotto lo stesso lenzuolo. Quando si vive una vita doppia senza far male a nessuno si diventa come dei supereroi e io ero il più sfigato dei supereroi, quello in bici. Ed erano due vite così separate, non comunicavano per forza di cose, erano lontanissime l'una dall'altra e io me ne stavo in mezzo, un po' qui un po' lì, senza un perché, mai. Non dicevo quasi a nessuno di me, perché non mi andava di rompere certi equilibri che col tempo erano diventati di cemento ed era bello così, era giusto. E quando facevo coming out mi sentivo ancora più sfigata, perché mai uno che mi rispondesse: pur'io son frocio e mi abbracciasse fino al giorno dopo. Macché.
Poi, crescendo, questa solitudine me la sono fatta amica. Ce l'avevo sulle spalle che ormai mi piaceva, l'accarezzavo, stava lì come una scimmia cappuccina e io la nutrivo, le volevo bene, pensavo fosse diventata la prima vera certezza della mia esistenza. Poi, a un certo punto, quelli come me hanno iniziato a sbucare come i funghi nel bosco. Certo, io ero cieca, sicuramente erano persone visibilissime a chiunque, ma non mi accorgo mai delle cose troppo velocemente. E arrivano: il mio amico preferito del liceo, una che abita dietro casa mia, il cugino di un'amica, una decina di femmine che vedevo tutti i giorni nello stesso posto, una ragazza che studiava in biblioteca e che poi è diventata amica amica, persone insospettabili che a loro volta si trascinavano una serie infinita di froci e allora all'improvviso dalla solitudine sono passata all'oberazione, tanto che se lo racconto in giro qualcuno non ci crede e mi chiede: ma dove cazzo vivi? Eh, sarà stato il cromo esavalente, sarà stata l'industrializzazione massiccia, saranno stati i trattori, non so. Ma da quel giorno senza una data tutto ha acquisito una sua dimensione di normalità, un equilibrio caduto dal cielo, come certi miracoli che ci si chiede, ma succedono davvero? Evidentemente.
E allora, quando in qualche forum leggo di ragazze che si trovano nella condizione in cui mi trovavo io a sedici anni, mi viene da pensare che, prima o poi, succede a tutti sta cosa. Magari non fuori casa, magari in un altro continente. Ma ci si ritrova, come non essersi mai persi, e si capisce che non c'è niente di sbagliato da nessuna parte, che poi io non ho mai pensato fosse qualcosa di sbagliato, ma di diverso sì. E penso che non serva decidere niente, che le cose accadono quando devono succedere. Poi, se non accadono e si hanno le rughe, ecco allora ci si mette a cercare seri.
Ma solo quando si hanno le rughe.
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