domenica 3 giugno 2012

Pride.

Ho visto il mio primo gay pride a tredici anni. I miei mi avevano spedita in una di quelle vacanze dove la mattina vai a scuola a far finta di imparare l'inglese. Insomma, stavo a Brighton e c'era il sole e io non ero ancora una persona. Oltre a non avere un vero e proprio orientamento sessuale, ero priva di qualunque tipo di orientamento, tant'è che mi ero persa. E vagando alla ricerca di qualcuno che potesse riportarmi da dove ero venuta mi sono imbattuta prima in due Catwoman e poi in Batman e Robin. Questi due limonavano felici in un'aiuola, come non ci fosse un domani. Pur non essendo più in fasce, non mi ero mai minimamente posta la questione dell'omosessualità. In quella fase della mia esistenza mi guardavo spessissimo allo specchio chiedendomi da dove cazzo fossi venuta, ma soprattutto dove sarei andata, finché non mi pigliava un attacco d'ansia (che allora non interpretavo come tale, ma come un calo di zuccheri) e mia madre veniva a portarmi via. Mi piazzava davanti alla televisione. Dio solo sa quanto mi è stata utile la televisione.

Qualche anno dopo ho partecipato al mio primo gay pride. Sapevo di essere lesbica, ma non mi importava troppo. Il lesbismo per me era ancora qualcosa di completamente teorico, pur essendo una lesbica praticante. Tutto era assolutamente egoriferito, per cui esistevamo solo io e le mie love story da tre barra quattro settimane. Il mio primo gay pride è stato milanese e deludente, come quasi tutte le prime volte. Mi sono annoiata, ho conosciuto le amiche di quella che allora era la mia fidanzatina, e sono tornata a casa a ripassare autori greci per l'interrogazione del giorno dopo. Era molto più comoda l'esistenza, scandita dai compiti in classe. Gli anni sono passati e, nel mio totale disinteressamento, non ho mai mancato un pride. Forse perché dentro di me ritenevo giusto esserci, nonostante non abbia mai amato alcuna manifestazione collettiva. In tutto il mio essere acerba, avevo il sentore di essere parte di qualcosa, anche se non mi sentivo parte di niente. Capivo che tutte quelle persone così lontane da com'ero io, altro non erano che i miei simili, e dovevo accettarli, ma soprattutto farmi accettare. La sentivo come una missione: quella era la mia specie e non l'avrei abbandonata nemmeno per l'opera omnia di Carver.

Ad oggi, ogni volta che partecipo a un gay pride, non so bene perché lo faccia. Innanzitutto, ne esco sempre infastidita. Mal sopporto la musica, i carri, le piume, gli addominali, perfino certi modelli di occhiali da sole. Le persone che fanno fotografie e gli striscioni, sempre uguali (e quindi, rassicuranti), le serate dopo il corteo, i volantini che leggo tutti dall'inizio alla fine (più per una forma di nevrosi che di interesse). Non mi diverto, eppure quella giornata non è mai una giornata persa. Acquista una sua dimensione, e questo mi basta. Mi aiuta a capire per qualche minuto ciò che poi mi sfugge per tutto il resto dell'anno. Mi specchio in qualche vetrina mentre mi piovono coriandoli nella tshirt e, a differenza di tanti anni fa, mi riconosco, per cui evito anche di accendere il televisore. 

Non ho mai sopportato chi boicotta i pride, perché non vuol dire niente. Non ho mai sopportato chi è contro i gay pride, perché non vuol dire niente. E non ho mai nemmeno per un attimo assecondato chi non comprende i gay pride, perché non c'è niente da capire. Io stessa non riesco a coglierne un aspetto impegnato o carnevalesco. Non mi interessa. Mi sembrano giorni in cui possiamo mostrare quello che siamo fino ad ostentarlo, e questo mi riempie di speranza, mi sembra giusto o, molto banalmente (ma nemmeno troppo), democratico. 

Quest'anno, come sapranno tutti quanti, il pride nazionale si terrà a Bologna. Ho letto alcune delle polemiche sorte in relazione al terremoto e compagniabella. Ognuno aveva qualcosa da dire, come accade sempre nel nostro paese. Il problema è che pochi avevano qualcosa di interessante da dire. L'idea di un pride più contenuto inizialmente mi ha dato da pensare. Il rispetto alle persone che soffrono mi è sembrato qualcosa di nettamente scollegato da quella che è la nostra festa. Poi ci ho pensato, e ho pensato che in fondo non mi interessa che al posto di un pezzo di ladygaga ci sia romagna mia. Purché non ci sia troppo contegno. Una calamità naturale è una tragedia, ma la nostra condizione è altrettanto tragica e non accenna a migliorare. Per cui.

Ci vediamo a Bologna. O magari anche prima.

7 commenti:

  1. "Mi sembrano giorni in cui possiamo mostrare quello che siamo fino ad ostentarlo, e questo mi riempie di speranza, mi sembra giusto o, molto banalmente (ma nemmeno troppo), democratico"

    Bravaragazza.

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  2. una volta ho detto gay pride davanti a una trans, sono stata cazziata talmente tanto da rimanerne traumatizzata. si direbbe pride, perchè è di tutt*. mmmmm..;) bel blog.

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  3. Trovo l'asterisco un simbolo profondamente antiestetico. Inoltre aggiungere gay a pride dava al ritmo della frase qualcosa di più compiuto. Si insomma, in pratica non me ne frega un cazzo di quello che dovrei dire :)

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  4. Si dice anche che il termine caz** sia un retaggio culturale machista ;)
    ho riso un sacco leggendo i post sulle ex.Scrivi davvero bene.

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  5. sarà ora di scrivere un nuovo post??

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  6. Sono stat all'orgullo gay di Madrid e mi sono sentita orgogliosa di essere lesbica tra un milione e mezzo di persone in festa.
    Sono stata al gay pride di Roma e mi sono vergognata di vivere in Italia.

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