venerdì 25 novembre 2011

Tomboy Vs Gameboy.

E così ho visto Tomboy. Non posso dire molto riguardo questo film. Come non posso dire molto riguardo ai film in generale. Mi è sembrato carino, leggero ma non semplicistico, mai banale, ma comunque non necessario. In ogni caso ottantaquattro minuti di non sofferenza, o quantomeno di disagio sopportabile. Cioè bene.

In sala non si era in troppi e non molte erano le lesbiche. Ho ruminato qualche patatina per il gusto di dar fastidio. Perché di mercoledì al cinema generalmente si ritrovano quelle persone che deprecano chi mangia in poltrona e così via. Nota surreale del tutto: nella fila davanti alla mia c'erano sei preti, uno dei quali sorseggiava una Sprite. Questa davvero non l'ho capita, è una di quelle cose per cui le persone si stupiscono, come se un sacerdote poi non potesse andare al cinema. Io dico, un sacerdote può, ma sei.

Finito il film si fumava una sigaretta annichiliti dall'umidità, quando una carissima amica etnografa ci ha fatto notare come tutti quei bambini fossero completamente innaturali nei loro giochi di bambini. E il bosco bucolico, e il lago bucolico, e il campetto da calcio bucolico, e soprattutto la bucolica bandierina, quell'attività medievale di chiamare un numero e correre verso un tovagliolo e tentare di portarselo a casa senza essere presi. Io ricordo con orrore la variante bandierina americana. Non la spiego perché ancora mi viene la pelle d'oca.

Bè sì, i bambini di Tomboy sembravano usciti da una pubblicità della Coop. Ho apprezzato l'intenzione della regista di mostrare l'infanzia così incontaminata e pura e ludica e di quella cattiveria prevedibili dei cinque anni in su. Ma il duemilaundici sta per finire. E tutto questo non esiste. E di sicuro non esiste in Francia. Tanta concitazione per vedere alcuni propri simili e una squinzia a caso, una manciata di giorni prima dell'inizio della scuola. E grandi tuffi in acqua e lotte demodé.

Io, che sono nata e cresciuta in provincia, posso dire che ci si trovava la sera, ma anche il pomeriggio, sotto l'albero con le radici grandi del parchetto che ora è un parcheggio e poi sì, ok, si giocava e si bazzicava tutti, finché non si veniva ripescati. Ma non c'era tanta partecipazione, eppure era il millenovecentonovanta. Rubabandiera estemporanei però mai visti. Quello rientrava nei giochi sadici a cui ci obbligavano nelle ore di ginnastica, detta anche educazione motoria, o trauma per sempre.

No dico, io me lo ricordo bene. Con l'arrivo del Sega Master system 2 la popolazione di giocatori pomeridiani si era ridotta di un buon quaranta per cento. Non c'era campanello che tenesse, importava solo Sonic. Col Sega Megadrive poi, la situazione è peggiorata, fino a diventare drammatica con l'avvento della prima Playstation, ma lì leggevo già svogliatamente Jacques Le Goff in un inutile saggio sull'usura nel basso Medioevo. 

Tutto questo in Tomboy non compare. Compare una bambina che si sente bambino, con una sorellina che si sente Shirley Temple e un fratellino che ancora deve arrivare, e che quando arriva ha la stessa pettinatura di Paolo Limiti. Dov'è La Wii in Tomboy? Perché cazzo nessuno palesa la necessità di mollare i sette minchioni nel bosco e correre a casa a guardare i siti proibiti del papà? Perché tanta tenerezza e colori pastello? Non c'è risposta. O forse sì. Il punto è che non la conosco.

Inoltre gli spaghetti con il pongo non si fabbricano più dalla seconda serie di Merlose Place. 

3 commenti:

  1. Forse tutto quel bucolico erano solo i ricordi edulcorati di una ragazzina vissuta nella Francia profonda. Film godibilissimo

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  2. Forse la risposta è che il film non è ambientato nel 2011. Non ricordo se ci sono riferimenti che contestualizzino la vicenda in un anno o decennio specifico. Forse è volutamente ambiguo e atemporale, in fondo è una storia che può riguardare tutti e in qualunque luogo e momento storico. Si può scegliere di pensarlo negli anni novanta e credere che in quel complesso di palazzi ci fossero solo "sette minchioni", o pensare che sia ambientato nel 2011 e che ce ne fossero trenta, sette dei quali preferivano interagire con propri simili piuttosto che con una Wii (nessuna polemica; io ho bramato la play station per anni ma niente, alla fine ho dovuto ripiegare sugli inviti dei compagni di scuola e forse un paio di volte ho fatto le forme col pongo). Anche Naissance des Pieuvres è molto carino. Poi direi che l'arte è narrativa, non descrittiva, sennò sarebbe più una scienza.

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